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Relazione del Segretario Provinciale Roberto Ferrari alla Direzione Provinciale del 3 ottobre

3 ottobre 2013


Allegati scarica la il pdf della relazione

E’ giusto iniziare dalla fine. Per fine intendo l’ultimo fatto politico in ordine di tempo. Il Presidente Letta ha ottenuto una nuova fiducia e, nonostante il colpo di teatro andato in onda nel voto al Senato, probabilmente dovremo comunque usare la definizione di Letta bis.
  

Questo è un fatto politico, avvenuto in parlamento. C’è un altro fatto politico che si è consumato nelle ultime ore: l’umiliazione politica inflitta a Berlusconi che per la prima volta in vent’anni è stato smentito dai suoi. Questo secondo fatto politico ci coinvolge direttamente perché è con quella parte politica, o con quello che ne sarà, che abbiamo costruito il governo delle larghe intese.


Il Presidente del Consiglio ne esce certamente rafforzato e il Governo continuerà il proprio lavoro, un lavoro impegnativo in una situazione difficilissima che conosciamo molto bene.


Possiamo dire di non aver più l’imbarazzo di dover essere per forza alleati di Berlusconi, Santanchè e Verdini, ma il fatto politico di dover essere alleati di Alfano, Cicchitto e Formigoni sarà un elemento che inevitabilmente ci accompagnerà durante la nostra prossima discussione congressuale.

Ricordo che Formigoni è colui che pochissimi giorni fa non si è presentato ai magistrati che stanno indagando sugli scandali della regione Lombardia adducendo la giustificazione di dover partecipare ai lavori parlamentari. Giustificazioni analoghe ne abbiamo sentite troppo spesso in questi anni. Ricordo anche che il Ministro degli Interni  è colui che ha addossato ad alcuni funzionari dello stesso Ministero la responsabilità dell’intervento compiuto dai Servizi di un paese straniero nel prelevare una donna con la propria figlia dal nostro paese. Lo abbiamo accettato in nome del pragmatismo politico. Mi chiedo se si tratti della stessa realpolitik che ha imposto le dimissioni da Ministro a Josefa Idem, in quanto non aveva pagato 3000 euro di ICI al comune di Ravenna, poi sanati, perché questo avrebbe minato la credibilità del Governo.

Dico queste cose perché mi aspetto che nei dibattiti congressuali che stiamo preparando dovremo dare delle risposte.

Avevamo accettato di sostenere un Governo di servizio e temporaneo con forze politiche nostre avversarie perché l’esito elettorale e delle successive trattative parlamentari non consentiva altre soluzioni. Ieri però è successo un fatto politico nuovo: si è legittimamente verificata in Parlamento una maggioranza non frutto dell’esito elettorale, ma frutto di una evoluzione politica di una parte politica che sostiene questo Governo.


Questo Letta bis ora non è più il prodotto della necessità, ma di una scelta, pertanto l’impegno sarà notevolmente maggiore. La responsabilità politica sarà maggiore e per noi sarà necessario alzare l’asticella degli obiettivi, obiettivi di cui questo paese ha profondamente bisogno. E noi del PD sappiamo che ne porteremo le maggiori responsabilità.


Non potremo più dire che ciò che non è possibile fare è per colpa di Berlusconi, ma non vorremmo nemmeno dover sentire che non sarà possibile per colpa di Alfano.


E’ sacrosanto e giusto dire che l’Italia non potrà permettersi una crisi di Governo ed elezioni anticipate durante la presidenza del semestre europeo che spetterà al nostro paese, ma prima e dopo quel semestre il Governo deve essere giudicato solo ed esclusivamente per ciò che è in grado di fare.


Le minacce non saranno costituite dalla reazione delle Borse o dallo Spread ma da ciò che avverrà a favore della crescita, correggo, della crescita equa e della occupazione, correggo, della occupazione dignitosa.

Il 1 ottobre abbiamo registrato un balzo positivo delle borse, compresa quella italiana, nel giorno in cui negli Stati Uniti venivano lasciati a casa 800.000 lavoratori. Di fatto si è aperta la procedura di default di quel paese che non è proprio un fatto irrilevante. Nello stesso giorno abbiamo appreso che la disoccupazione giovanile in Italia è oltre il 40%, per cui o le borse apprezzano questo genere di notizie - e noi un’opinione politica su questo dovremmo averla - oppure il merito sta tutto nell’annuncio della costituzione di un nuovo gruppo da parte di Giovanardi.


I temi che questo Governo dovrà affrontare sono ancora tutti lì: legge di stabilità, IMU, aumento IVA, patto di stabilità, cuneo fiscale, legge elettorale, dubito le grandi riforme istituzionali visto che la maggioranza in parlamento sarà inevitabilmente  più conflittuale a partire dalla fibrillazione interna dei partiti che la compongono e in particolare, d’ora in poi, del PDL.


Mi auguro che, in cambio della nascita di un nuovo gruppo nel centrodestra,  non ci sia stato un accordo per una legge elettorale proporzionale.

Nei giorni scorsi ho incontrato una delegazione di esodati reggiani, persone che non hanno ancora avuto il riconoscimento dello loro status dopo la riforma Fornero o che non hanno la garanzia di accedere alla copertura previdenziale al termine della vigenza degli ammortizzatori sociali.

Ho preso l’impegno di invitare i nostri Consiglieri Comunali a destinare un gettone di presenza alla costituzione di un fondo per affrontare le loro spese di trasferta per gli incontri al Ministero del Lavoro, così come alla copertura delle spese per tre biglietti ferroviari per andare all’incontro con il nostro Sottosegretario Fassina che è già preannunciato per le prossime settimane.


Questo possiamo fare da qui, ma è necessario che in parlamento si concretizzi l’impegno da parte del PD di definire normativamente e definitivamente il diritto di queste persone di non subire ingiustamente gli effetti della riforma delle pensioni, riforma che anche noi abbiamo votato.


E’ una piccola buona ragione per credere che questo Governo debba continuare a lavorare.   


Lo svolgimento e la conclusione dell’Assemblea Nazionale del 20 e 21 settembre scorsi hanno rappresentato un momento umiliante per il nostro partito e per tutti coloro che chiamiamo popolo del PD.


Mi riferisco a tutte quelle persone, iscritti, militanti, elettori, simpatizzanti che nonostante tutto ci guardano e ci giudicano. Persone che si sono arrabbiate, che aspettano delle risposte ma che non sono ancora andate ad ingrossare le fila dei disillusi o di coloro che hanno perso fiducia non solo nella politica ma anche nel nostro partito. Anche e soprattutto a questi ultimi dovremo dedicare particolare attenzione e il “come” dovrebbe essere uno dei principali argomenti congressuali.


Ritorniamo al nostro cosiddetto popolo del PD per ringraziare tutti coloro che anche quest’anno hanno lavorato e si sono impegnati nella lunga stagione delle feste, da quelle di circolo fino a Festareggio. Lo hanno fatto con impegno e passione, ma non hanno mai smesso di fare domande, di sollevare critiche puntuali e di inviare avvertimenti precisi.


Non possiamo deluderli né prenderli in giro, pena il distacco irreversibile da una partecipazione di cui ci vantiamo e che rimane per noi un tratto distintivo del nostro modo di fare politica.


A questo popolo del PD non è stata ancora data una chiara risposta su chi sono i “101” e perché hanno espresso quel voto. Temo che nemmeno il congresso chiarirà questo aspetto, mentre sarebbe utile che quella opzione politica si confrontasse nel dibattito congressuale altrimenti continueremo a portarci dentro un virus che potrebbe manifestarsi in qualunque altro momento.


Sempre a questo popolo del PD abbiamo promesso di fare il congresso, partendo dal basso, dalla base, per permettere ai nostri iscritti di partecipare alle fasi di analisi e di elaborazione utili al partito dopo la bocciatura di Romano Prodi, dopo le dimissioni del segretario Peer Luigi Bersani, dopo la nascita del governo delle larghe intese.


Le regole approvate nella direzione nazionale del 27 settembre delineano un congresso che si svilupperà nel seguente modo: innanzitutto dovremo eleggere una commissione congressuale  composta da non più di 11 persone a cui si aggiunge il presidente della commissione di garanzia o suo delegato ed un rappresentante per ogni candidato.


Entro l’11 ottobre dovranno essere presentate le candidature per la carica a segretario nazionale e provinciale, mentre le candidature a segretario di circolo possono esser presentate fino al giorno stesso della relativa assemblea.


Il regolamento, tenuto conto di quello nazionale, stabilirà le modalità di presentazione delle candidature e stabilirà il periodo entro il quale tenere le assemblee congressuali territoriali per svolgere le elezioni dei segretari di circolo e per il segretario provinciale riservate ai soli iscritti. Ci si può iscrivere  e quindi votare fino al giorno stesso in cui si svolgono le elezioni.


Questa fase dovrà terminare entro il 6 novembre in quanto dal giorno 7 si apre la fase delle assemblee di circolo per la convenzione nazionale che si dovranno concludere entro il 24 novembre, data in cui la convenzione nazionale dovrà accertare coloro che potranno accedere alle primarie aperte per l’elezione del segretario nazionale.


Primarie in cui, per votare, basterà dichiarare anche il giorno stesso di essere aderenti al PD versando 2 euro di contributo (non obbligatorio per gli iscritti).


Per completare i nostri adempimenti dovremo approvare il nostro regolamento congressuale che poi Andrea Rossi, responsabile dell’organizzazione, vi illustrerà nello specifico.


Ciò che mi preme evidenziare è come questa procedura sia abbastanza difficile da spiegare e impegnativa da gestire. Tra il 12 ottobre e l’8 dicembre i nostri iscritti saranno chiamati a votare ben 3 volte. Direi che non è proprio la formula ideale per invitare il maggior numero di persone a partecipare al nostro congresso.


Tutto ciò è il frutto da una parte del fallito voto all’ultima assemblea nazionale, che non ha permesso di abolire almeno la fase delle convenzioni che avrebbe potuto accorciare e semplificare il percorso, ma anche dalla volontà trasversale che si è manifestata fino all’ultimo minuto di rendere complicato questo nostro congresso.


L’aver allungato artificiosamente la discussione sulle regole ha prodotto il compattamento in poche settimane della fase congressuale, che come abbiamo visto non è nemmeno stata semplificata, quasi a voler rendere incomprensibile all’opinione pubblica quello che stiamo facendo, come se si trattasse di una fase che riguarda alcuni e non tutto il popolo del PD.


Ci sono evidenti elementi di incoerenza e di ipocrisia: le candidature territoriali devono essere sganciate da quelle nazionali, sacrosanto, ma i congressi territoriali si devono fare dopo il deposito delle candidature nazionali e le due fasi avverranno a distanza di pochissimi giorni.


Mi permetto di dire che queste regole sono il frutto di una classe dirigente che non ha saputo cogliere il risultato politico uscito dal voto del febbraio scorso, che offre a piene mani l‘idea di voler difendere rendite di posizione che sono vere nell’organigramma del partito, ma evaporate nell’opinione dei nostri simpatizzanti ed iscritti, che stanno progressivamente e costantemente evaporando anch’essi.


Tutto questo ha delle implicazioni procedurali ed organizzative, ma anche politiche. Credo che se non sapremo essere chiari ed onesti con noi stessi difficilmente riusciremo a coinvolgere e motivare da prima i nostri iscritti e poi i nostri sostenitori a partecipare agli appuntamenti congressuali che sono stati calendarizzati.


La richiesta che era emersa e che noi abbiamo fortemente sostenuto di iniziare la fase congressuale partendo dalla base e dai territori sarebbe stata utile e corretta se si fosse svolta già a partire dalla fine della primavera scorsa. Ciò avrebbe realmente consentito un libero dibattito sull’identità del partito, sulla sua forma organizzativa, sulle strategie di ampio respiro che vogliamo adottare.


L’aver compresso in poco più di un mese l’elezione dei segretari di circolo, di quelli provinciali, le convezioni e l’elezione del segretario nazionale vanifica di fatto queste opportunità.


Saremo chiamati a votare tre volte in poche settimane, e questo non aiuta la partecipazione, ma soprattutto con i congressi territoriali che si devono svolgere dopo le candidature per il segretario nazionale, sarà pressoché impossibile affrontare quella necessaria discussione sul partito che ci si proponeva di fare.   


Ho definito ipocrita questa scelta, l’ho fatto perché come voi ho raccolto le richieste e le sollecitazioni che venivano dai nostri militanti, ma anche perché ho sentito le rassicurazioni che molti nostri dirigenti nazionali ci facevano a questo proposito. Invece il risultato, figlio di una assurda discussione sulle regole che ci ha accompagnato per tutta l’estate, aiutata da una tattica dilatoria a cui troppi hanno contribuito e che si è manifestata anche durante l’ultima assemblea nazionale, è quello di spingere verso una discussione congressuale che confonderà e sovrapporrà il confronto nazionale con quello locale.


Non è il congresso che serve oggi ad una forza politica che non deve accontentarsi di rappresentare il 25% dei votanti, poco più della metà se prendiamo gli aventi diritto e che oggi ha circa 250.000 iscritti.


Non è questo il partito che abbiamo fondato nel 2007, non avevamo in mente una forza politica che contratta posti,  poltrone, potere e che di fronte alle difficoltà del paese, alle difficoltà di tanti cittadini dà l’impressione di pensare a salvaguardare se stessa.


L’obiettivo del PD non può essere quello di far slittare l’aumento dell’IVA, obiettivo che può essere di un governo di servizio e temporaneo.


Obiettivo del PD non può essere che di fronte al più grande cambiamento della storia avvenuto in tempo di pace, ci interroghiamo di come correggere le norme di accesso al lavoro quali uniche soluzioni per trovare risposte alla  cronica diminuzione di occupazione, qui in Italia, nella Repubblica fondata sul lavoro.


Di fronte a questa infinita crisi economica non è andata in difficoltà la classica forma di rappresentanza politica costituita dai partiti, sono andate in crisi tutte le consuete forme di rappresentanza economica e sociale. Ad oggi è stato fin troppo facile, anche se giusto, mettere in croce le colpe dei partiti, ma non ne usciremo finché non si avrà il coraggio di ripensare complessivamente il nostro sistema, comprese le responsabilità del privato e del sistema cooperativo che oggi non possono solo sentirsi vittime.

Certo in questo momento la politica ed i partiti hanno e possono avere un nuovo importante ruolo. Allora proviamo a pensare a nuove  politiche industriali, rivolte all’orizzonte futuro, ma che diano risposte occupazionali e di crescita da subito.


Faccio un esempio: siamo al contempo un paese eccellenza del manifatturiero, siamo al collasso della sostenibilità ambientale, siamo energeticamente ancora troppo estero dipendenti.


Negli anni del dopoguerra abbiamo costruito la rete dei collegamenti, le autostrade italiane, sostegno allo sviluppo, alla rete di imprese, alla comunicazione e sicuramente al manifatturiero legato all’automobilistico. Perché non darci oggi l’obiettivo di creare una rete di impianti di rifornimenti ad energia elettrica su tutta la rete autostradale, volano per far decollare il settore delle auto ibride ed elettriche, che rinnoverebbe il parco auto degli italiani, con mezzi a basso o zero inquinamento, a cui collegare i nostri tecnopoli quali centri di ricerca e sviluppo integrato per creare macchine a sempre maggiore efficienza e pompe di rifornimento elettrico sempre più veloci?


Magari a Mirafiori vedremo uscire le nuove auto elettriche degli italiani e magari degli europei, piuttosto che i SUV promessi, e vedremo entrarvi un po’ di nuovi lavoratori.


Abbiamo costruito l’autostrada del sole, possiamo oggi lavorare per l’autostrada dell’energia solare? 


Forse altri avranno idee migliori, benissimo, almeno potremo dibattere di regole del mercato del lavoro dopo che avremo creato il lavoro.


Lavoro ad alto contenuto tecnologico, produzioni a basso impatto ambientale, compatibile e sostenibile, che sappia guardare al mondo di domani e pensare a chi ci dovrà vivere.


Purtroppo ciò che si verificherà è un’idea di congresso che non mi convince, pur se legittima, che ci viene imposta dopo che ci hanno detto il contrario ma soprattutto che ci deve preoccupare per l’approssimarsi delle prossime elezioni amministrative.


Un breve riepilogo dei 36 comuni che andranno al voto. Eventualmente Giammaria Manghi responsabile Enti Locali potrà approfondire ed integrare questa mia sommaria fotografia aggiornata a luglio/ agosto.


Nei 36 comuni ci sono tutti i comuni capidistretto, quindi la città capoluogo con tutta la sua oggettiva rilevanza politica, insieme a Correggio e a Castelnuovo Monti in cui i Sindaci attuali non possono ripresentarsi, Scandiano e Montecchio dove posso ripresentarsi per un secondo mandato e Guastalla in cui dovremo riprovare a vincere.


Sono 4 i comuni in cui si voterà con il doppio turno: a Reggio Emilia, Scandiano e Correggio si aggiunge per la prima volta Casalgrande.


Complessivamente sono 16 i comuni amministrati dal centrosinistra in cui il Sindaco uscente non è ricandidabile a cui si aggiungono ad oggi le indisponibilità già annunciate dei primi cittadini di Baiso, Rio Saliceto e Fabbrico i quali intendono interrompere la loro esperienza al termine dei primi cinque anni.


I tre casi non sono identici, ma il fatto che in realtà complessivamente ben amministrate in cui non si registrano particolare conflitti amministrativi o politici, come Rio Saliceto e Fabbrico, si verifichi l’indisponibilità degli attuali amministratori a ripresentarsi, per ragioni strettamente personali, costituisce  un fatto abbastanza inedito e preoccupante.


Se a questi aggiungiamo i comuni di Guastalla, Villa Minozzo e Viano in cui siamo attualmente all’opposizione diventano in totale 22 su 36, i comuni in cui dovremo trovare nuovi candidati.


Per quanto riguarda Villa Minozzo, insieme a Toano, bisognerà attendere l’esito del referendum consultivo e gli atti conseguenti rispetto alla eventuale fusione fra i due Enti e, nel caso affermativo, si voterebbe per un nuovo comune che a sua volta rappresenterebbe un altro fatto inedito.


Quindi un lavoro notevole, che avrebbe sicuramente bisogno di un clima favorevole, di una contenuta e fisiologica competizione interna, per giunge ad una sintesi vincente.


Aggiungo che, nella stragrande maggioranza dei comuni che andranno al voto, la percentuale di consenso ottenuto alle recenti elezioni politiche dal centrosinistra non consente di rappresentare la maggioranza dei votanti, figuriamoci degli elettori. Anche se è vero che alle amministrative la nostra capacità di costruire ed attrarre consenso è maggiore  rispetto al voto politico, è bene conoscere il contesto in cui ci troviamo.


E’ altrettanto vero che la salute dei nostri storici e consueti alleati politici non è brillantissima, basti pensare all’IDV o anche alla stessa SEL, quest’ultima attualmente collocata  in modo differente sul territorio, in alcuni casi in maggioranza in altri all’opposizione e in questi casi si tratta spesso di opposizioni molto conflittuali (Cavriago e Gattatico per fare due esempi).


Avremo bisogno della massima collaborazione dai territori e da parte di tutti, a partire da coloro che ricoprono i ruoli maggiori, per seguire con attenzione lo svilupparsi dei percorsi per le amministrative favorendo la sintesi migliore per ogni singola realtà a partire da quei comuni in cui ad oggi siamo nella situazione con maggiore complessità e a volte conflittualità, e questi sono circa una dozzina su  36 stando alla fotografia più recente, a cui il dibattito congressuale, se non svolto con responsabilità, potrebbe aggiungerne altri.


Siamo spesso critici e amareggiati per gli atteggiamenti della nostra classe dirigente nazionale  che spesso ci appare  purtroppo più interessata agli equilibri di corrente e agli interessi di parte, se non addirittura personali, che all’interesse generale che non è solo quello del paese ma anche quello del nostro partito, del PD.


Allora cerchiamo di evitare di ripetere in piccolo queste modalità, cerchiamo di indirizzare tutte le nostre energie e  i nostri contributi a far si che almeno sul territorio di nostra competenza si affermi la capacità e la volontà di guardare alle migliori competenze, a costruire un contesto di confronto e di dialogo dentro e fuori al partito capace di coinvolgere, di raccogliere spunti e risorse, che in altre parole sia capace di riconciliare opinione pubblica  e politica.


Riconciliazione, è questa la parola che abbiamo usato dopo gli strappi e le conseguenze del post voto, è questa la parola che meglio traduce lo sforzo che dobbiamo fare, che rappresenta lo stato di disponibilità che dobbiamo mettere in campo perché dimostra che abbiamo capito gli errori commessi e che non vogliamo, non dobbiamo, più commettere.


Ma per praticarla ci vuole disinteresse personale, umiltà e buon senso, è quello che chiedo a tutti, per primo a me stesso, agli eletti, a chi ricopre incarichi a vario livello.

Diamo tutti l’esempio per primi.


Ritengo le lezioni amministrative un passaggio estremamente importante, per il governo futuro del territorio, per la necessità di mantenere un governo diffuso e solidale, per affrontare le sfide del cambiamento in atto in cui anche il livello istituzionale sarà oggetto di ripensamenti e di trasformazioni.


Come segreteria abbiamo identificato alcuni temi che potranno caratterizzare politicamente la prossima campagna elettorale per le amministrative e che potranno essere un comune denominatore a tutti i singoli programmi elettorali a sostegno dei nostri candidati.

Riassetto istituzionale, servizi alle persone, uso e tutela del territorio, ruolo e funzione delle società partecipate nell’uso dei beni comuni. Sono questi  i temi prioritari sui quali poter caratterizzare la nostra proposta, agendo su funzioni di cui possiamo assumerci la responsabilità di intervenire e di determinarne l’orientamento per il futuro.


I cittadini ci valuteranno in particolar modo da come sapremo porci in questa fase di elaborazione del progetto di governo da modellare in ciascun territorio, da come riusciremo ad  individuare un filo conduttore comune, da come sapremo proporre e selezionare le persone in grado di realizzare questo mandato.


Il presupposto indispensabile perché ciò avvenga e perché il PD reggiano sia identificato e riconosciuto come una classe dirigente autorevole, dipenderà da come in questa fase congressuale sapremo esercitare il nostro ruolo.


Poiché siamo già al 3 di ottobre ed il congresso si svolgerà nel modo in cui è stato definito mi sembra corretto parlare con estrema franchezza, come per altro ho sempre fatto, di questa segreteria che di fatto da oggi, a pochi mesi dalle elezioni amministrative, si presenta dimissionaria.


Vorrei vedere il bicchiere mezzo pieno, o forse è meglio dire le poche gocce rimaste, per dire che comunque questa potrà essere una occasione per legittimare una classe dirigente alla vigilia di un appuntamento così importante.


Non vi nascondo che dover interrompere a pochi mesi dalle amministrative il lavoro di questa segreteria mi sembra però poco utile.


Quando ho accettato di candidarmi l’ho fatto con la consapevolezza dei mie limiti, conscio di dover affrontare scenari e contesti complicati e a volte anche ostili, pur vivendo tutti la stessa appartenenza politica, ma sapevo anche che questo percorso si sarebbe concluso in coincidenza con il passaggio elettorale delle amministrative 2014, naturale termine di questo mandato e a mio giudizio anche naturale conclusione di un lavoro che avremmo potuto portare a consuntivo per un completo giudizio politico da parte degli organi del partito e soprattutto dei nostri iscritti e sostenitori.


Non ho mai nascosto che l’investimento politico che ritengo più necessario debba essere rivolto agli amministratori, in parte è dovuto alla mia storia personale e in parte è dovuto al convincimento che in questa fase politica questo livello di rappresentanza coniughi nel migliore dei modi consenso, competenza e credibilità.


Pertanto poter concludere il mandato di questa segreteria dopo la tornata amministrativa mi pareva l’ideale approdo.


Ora non sarà possibile: il congresso, anticipato anche per i livelli territoriali, antepone un passaggio congressuale.


Io non voglio porre condizioni, non ne ho la forza e nemmeno lo riterrei utile, ma voglio condividere con voi alcune mie riflessioni.


Interrompere a pochi mesi non tanto dalla scadenza naturale, ma soprattutto dall’originale mandato, rappresentato appunto dalle elezioni della primavera 2014, mi sembra di mancare ad un impegno, impegno che ho assunto e voluto perseguire sempre con coerenza, perché frutto di un accordo che prendemmo insieme con molti di voi e con tanti nostri iscritti nella primavera del 2010. Perché riterrei giusto poter essere giudicato a consuntivo di questa esperienza ed oggi non sarebbe un consuntivo pieno. Non voglio essere frainteso: questo non toglie a nessuno la facoltà di esprimere già oggi il proprio giudizio.


Ogni segretario, sicuramente il sottoscritto, essendo a servizio di questo partito deve rimanere o andarsene in qualunque momento se non è ritenuto adeguato alla fase politica.


So anche di non potermi candidare in diretta filiera con una delle candidature nazionali, per coerenza con quello che ho già argomentato prima e, aggiungo, perché essendo stato sostenuto nel 2010 da un largo consenso molto trasversale, oggi non potrei tradire quel senso di allora riducendomi ad una limitata e parziale rappresentanza. Certo non ci si può candidare solo in caso di unanimismo, che non ho cercato nemmeno la volta precedente, ma non credo corretto per me restringere troppo questa rappresentanza.


Allora si diede molto peso al patto generazionale che contraddistingueva quella proposta, sottovalutando che oltre alla generazione c’era la disponibilità di una classe dirigente che voleva impegnarsi, mettersi in gioco, dare un contributo di innovazione politica nei contenuti e nelle proposte; probabilmente non ci saremo riusciti a pieno, ma credo che il percorso avviato sia quello giusto, che merita di non essere interrotto anzi, magari, di essere rafforzato.


Confesso anche che le motivazioni necessarie per ricoprire un intero nuovo mandato sono per me in questo momento difficili da trovare.


Inoltre c’è una motivazione solo in parte personale che devo condividere con il partito, la situazione di precarietà occupazionale e di incertezza del reddito non mi rende sereno, il non sentirmi libero dal bisogno economico che oggi mi è garantito esclusivamente dal ruolo che ricopro mi renderebbe ricattabile politicamente e chiunque potrebbe pensare che le mie azioni sono condizionate da questa necessità.


Sarebbe ingiusto per la mia etica e per il partito .


A questo si aggiunge la non facile situazione finanziaria del partito: il tesseramento in notevole diminuzione, la festa provinciale che non è più strutturalmente in grado di produrre gli utili sperati, la difficoltà a recuperare tutti i contributi da parte degli eletti, contribuzione accettata al momento della candidatura e purtroppo non da tutti rispettata .


Per queste ragioni, anche nel caso in cui il mandato si fosse concluso a scadenza naturale, riterrei opportuno dover condividere il mio ruolo politico con un lavoro, magari a part-time, in modo tale da non subire il peso della dipendenza economica.


I partiti, almeno il nostro partito, non possono essere un luogo di rifugio lavorativo, sarebbe irrispettoso nei confronti dei nostri elettori.   


Le carriere politiche, oggi più di ieri, devono essere favorite o interrotte solo ed esclusivamente per meriti o demeriti politici.


Questa sarebbe la più grande riforma radicale di una forza politica di ispirazione progressista e riformista, questa sarebbe la migliore risposta al vergognoso correntismo che sta facendo morire il nostro partito.


Forse finalmente sapremmo distinguere fra chi cambia opinione politica e la esercita nelle sedi del partito e chi pur rappresentando un partito si nasconde dietro al voto segreto per cambiare la linea politica determinando una sofferenza irrisolta nel popolo del PD.


Consiglio di leggere o rileggere l’articolo di Michele Smargiassi pubblicato su Repubblica Bologna lo scorso 14 settembre.


Avevo detto che non era mia intenzione porre condizioni e spero che non siano state interpretate come tali, ma sono le mie riflessioni che voglio condividere con il mio partito e che per me sono e saranno determinanti per le decisioni che andremo ad assumere.


Nel preparare questa relazione avevo pensato di andarmi a rileggere la relazione che feci il giorno della mia elezione , il 5 giugno 2010, ma non ho avuto bisogno di farlo per ricordare come ancora oggi il momento più bello, per la soddisfazione, per le aspettative, per l’entusiasmo, per la fiducia nella politica che io ricordi della mia esperienza politica rimane quello vissuto in piazza Prampolini la sera del 21 aprile del 1996.


Ho voglia di rivivere quelle emozioni e di poter festeggiare sventolando la bandiera del PD, quella bandiera che allora, noi presenti in quella piazza a sventolare bandiere diverse, avevamo tutti uguale nel pensiero e nella volontà.








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